Il Papa firma il decreto di dissoluzione della Fraternità dei Santi apostoli di Bruxelles, che poteva contare su un numero considerevole di sacerdoti e seminaristi, nel deserto ecclesiale del Belgio. Una ferita, provocata senza aspettare che la giustizia ecclesiastica seguisse il suo corso naturale e si pronunciasse sul ricorso presentato dai parrocchiani.
Ricordate il caso delle Fraternità sacerdotale dei Santi Apostoli, di Bruxelles? Nel panorama disastrato della Chiesa belga, e della capitale europea forse più scristianizzata, l’allora arcivescovo di Malines-Bruxelles, André Léonard aveva creato una Fraternità sacerdotale, nel 2013 ispirata al carisma del sacerdote francese Michel-Marie Zanotti- Sorkine. Poteva contare su 23 seminaristi e 6 sacerdoti. Un evento straordinario in una Chiesa in cui l’anno scorso, nella parte francofona non si è contato neanche un nuovo ingresso in seminario. Alla Fraternità era stata affidata una parrocchia nel centro di Bruxelles, Santa Caterina, e la loro presenza aveva segnato una nuova fioritura di fede e di attività.
Poi l’arcivescovo André Léonard, una figura di uomo di fede e che per la sua difesa dei valori della Chiesa aveva subito attacchi (anche fisici) e umiliazioni non solo non aveva ricevuto come sarebbe stato logico attendersi la berretta cardinalizia, ma allo scadere dei 75 anni era stato rapidamente congedato dal Pontefice regnante. Il suo posto è stato preso da mons. De Kesel, gran protetto del discusso cardinale Danneels, coinvolto in una penosa inchiesta di abusi per aver protetto un vescovo colpevole. De Kesel naturalmente è stato fatto cardinale. E una delle prime azioni è stata quella di decidere di non ospitare più la Fraternità, a cui, oltre che Santa Caterina, era stata affidata un’altra parrocchia. Il motivo ufficiale della decisione era che molti dei seminaristi erano francesi, e dunque era meglio che tornassero alle rispettive diocesi in Francia, per ragioni di solidarietà episcopale.
Naturalmente i parrocchiani di Bruxelles non hanno creduto neanche per un secondo a questa scusa trasparente, e hanno chiesto un incontro con l’arcivescovo, per esporgli le loro ragioni. “Mons. De Kesel non desidera più accogliere la Fraternità con il pretesto che include troppi francesi. E’ il vescovo della capitale d’Europa del XXI secolo? Il principio di solidarietà verso i vescovi francesi invocato nel comunicato dell’arcivescovo per non continuare più l’opera iniziata da mons. Léonard, malgrado tutti i successi della Fraternità che il comunicato stesso riconosce, non ha senso. In effetti, su 80 seminaristi in formazione a Namur (il seminario nazionale belga, N.D.A.) solo 25 sono belgi. Saranno mandati tutti nei loro Paesi? Saranno mandati via tutti i sacerdoti africani e polacchi che vengono ad aiutarci a portare il messaggio di Cristo in Belgio? La Chiesa cattolica non è più universale e non trascende più le frontiere?”.
Sappiamo come è andata a finire. Ma ne scriviamo perché nei giorni scorsi abbiamo ricevuto un’informazione importante su un evento decisivo nella triste storia della Fraternità, ed è un evento che si è svolto a Roma e che purtroppo porta la firma del Pontefice.
Questa, in breve, la storia. Mentre a Bruxelles si discuteva e si cercava di trovare una soluzione, due coppie di laici hanno intrapreso la strada della legalità, e dell’appello – normale in questi casi – a Roma, al Tribunale della Segnatura Apostolica. I laici hanno presentato un appello contro la decisione di De Kesel alla Congregazione per il Clero, che non era più diretta dal cardinale Mauro Piacenza, ma dal cardinale Beniamino Stella, già diplomatico e nominato dal Pontefice regnante. Nel novembre del 2016 la Congregazione per il Clero negava “senza nessuna motivazione”, ci hanno scritto i laici interesstai, lo “jus standi”, cioè il diritto dei reclamanti di apparire davanti a un tribunale per presentare la loro istanza. E allo stesso tempo ha confermato il decreto di dissoluzione della Fraternità deciso dall’arcivescovo di Bruxelles.
In un caso come questo, l’ultima risorsa è rappresentata dalla Segnatura Apostolica, il Tribunale Supremo della Chiesa a cui qualsiasi persona nella Chiesa, chierico o laico, può fare ricorso se ritiene di dover difendere un suo diritto. Alla Segnatura Apostolica non c’era già più il cardinale Raymond Leo Burke, una personalità sia giuridica che sacerdotale di forte tempra. Era stato sostituito dall’ex ministro degli Esteri del Papa, un diplomatico anche in questo caso, mons. Dominique Mamberti. Nel dicembre del 2016 i laici di Bruxelles hanno portato la loro istanza alla Segnatura Apostolica. La causa era stata considerata positivamente dal Promotore di Giustizia, e stava per essere sottomessa al collegio dei giudici, in un’udienza che si sarebbe dovuta svolgere nell’autunno del 2017. “Cosi, avevamo fiducia che la giustizia e la verità avrebbero finalmente vinto”, ci è stato scritto.
E a questo punto c’è stato un pessimo colpo di scena. Il 25 novembre una lettera della Segnatura informava gli interessati che la causa era finita. Senza aspettare che la giustizia ecclesiastica seguisse il suo corso naturale e si pronunciasse (“dum summarium conficiebatur”), il prefetto della Congregazione per il Clero, Beniamino Stella, aveva portato al Pontefice regnante per fargli firmare, e di conseguenza fare suo, il decreto, impugnato, di dissoluzione della Fraternità. Il Pontefice l’ha firmato; un atto di imperio che certamente appare una ferita al diritto dei più deboli nella Chiesa. Una storia che certamente non proietta una bella luce sul modo di agire dei vertici della riformata Curia Romana, e sul Pontefice stesso. Una brutta storia.